(testo di Roberto Musì)
Dal bollettino ICSAIC 12/95
20 febbraio 1943
Il 1943 è l’anno della grande svolta della II Guerra Mondiale.
Anzi, per l’Italia, di due grandi svolte: l’arresto di Mussolini con conseguente caduta del fascismo del 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre. Sono indubbiamente questi i fatti capitali che in quell’anno decideranno del destino del nostro Paese.
I preliminari di tutto ciò cominciano proprio ad inizio d’anno con i bombardamenti a tappeto degli Alleati che culmineranno in un crescendo di distruzione e di morte con lo sbarco anglo-americano in Calabria del 3 settembre. L’Italia è allo stremo, la situazione su tutti i fronti di guerra è, praticamente, senza controllo. Il re l’aveva detto a Mussolini quando, prima di ordinarne l’arresto, lo convocò a Villa Savoia in Roma: “Caro Duce l’Italia è in tocchi. L’esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi.”‘
Da gennaio si può dire che abbiamo ormai la guerra in casa. Gli Alleati attestatisi in Africa settentrionale e padroni del Mediterraneo stanno ultimando i preparativi per uno sbarco in Sicilia. Per scoraggiare e colpire la popolazione civile iniziano una serie di bombardamenti su tutta la Penisola. In questo modo il `43 diventa per gli italiani l’anno delle bombe, dell’oscuramento, degli sfollamenti e la caduta del Fascismo e l’armistizio contano meno che niente nei pensieri di un popolo che già ha sofferto abbastanza e sta pagando, sulla propria pelle, un prezzo molto alto. A tre anni dalla entrata in guerra dell’Italia si sono viste solo sconfitte, umiliazioni ma soprattutto perdite umane spaventose. Adesso che la guerra ce la troviamo tra le mura domestiche è subito un dramma che andrà assumendo proporzioni inusitate. Le grandi città italiane ridotte ad un cumulo di macerie, secoli di storia ed arte italiana alle fiamme, Milano, Firenze, Roma, Napoli, ecc. desertificate. Non minore sorte toccherà a centri cittadini di minore entità perché individuati come punti obbligati di passaggio per le truppe tedesche intente a risalire la Penisola verso il Nord. Gli Alleati iniziano a bombardare la Calabria già dal gennaio `43 con incursioni su Catanzaro (25.1), Reggio Cal. (27.1), piccoli centri come Amantea, Cittanova, Gioia Tauro (20.2) e poi Cosenza (1.3), Vibo Val. (12.4), Paola (11.6), e ancora a Reggio Cal. (ben due volte in luglio) fino allo sbarco sul suolo calabrese del 3 settembre
Le direttive degli Alleati circa la strategia dei bombardamenti prevedeva lanci di bombe diurni e notturni che poi corrispondevano, nell’ambito delle due massime autorità politiche e militari alleate, a due specifiche strategie. I due responsabili del Bomber-Command alleato erano il Maresciallo dell’aria sir Arthur Harrisdella RAF britannica e il generale Ira Eaker dell’8° Army Air Force americana.
“Gli americani continuano a credere fermamente come nel ’42 nell’efficacia dei bombardamenti diurni di precisione da alta quota, anche se i fatti hanno ormai dimostrato che solo una esigua percentuale delle loro bombe colpisce effettivamente i bersagli specifici, mentre la percentuale più alta fa scempio di abitazioni civili o si disperde in modo vano. Gli inglesi – ma nessuno in modo così fanatico ed esclusivo come Harris, ha scritto il più noto studioso di storia aeronautica Giorgio Bonacina – hanno invece rinunciato da un pezzo ai bombardamenti cosiddetti di precisione, essendosi accorti a loro spese che le incursioni diurne, in mancanza di un solo tipo di caccia a grande autonomia capace di assicurare una valida scorta ai bombardieri, si risolvono soltanto in uno spaventoso ed inutile salasso dei bombardieri stessi, falciati dai caccia tedeschi”?
Il bombardamento di Amantea avviene di giorno ed è quindi, senza ombra di dubbio, da ascrivere agli americani. Il bersaglio è la strada nazionale di transito con ponte, obbligatoria per il passaggio delle truppe tedesche in ritirata. La strada è in pieno centro cittadino nella sua parte alta, praticamente di fianco e su uno strapiombo che da un lato guarda il mare e dall’altro la Chiesa Matrice ed alcune vecchie case, nel cuore di un quartiere popolare detto il “Pizzone”. Verso il primo pomeriggio, dopo le quindici p.m., del 20 febbraio 1943, fortezze volanti della 12a USA AF, caccia del tipo Lightnings e gruppi di Liberators in missione di guerra, provenienti da sud appaiono improvvisamente ed in pochi minuti sono sull’obiettivo. Le bombe, quasi tutte, centrano il bersaglio (alcune andranno a cadere, senza conseguenza, alle spalle della cittadina). Viene colpito innanzitutto il ponte e la strada che sono distrutti, nello stesso tempo viene letteralmente sventrata una vecchia casa baronale con dentro una famiglia intera i cui componenti resteranno uccisi tutti. Il lancio delle bombe fu comunque talmente preciso che, per fortuna, risparmiò la Chiesa quasi contigua alla casa colpita, In quello stesso istante, nella sagrestìa della Chiesa trovavasi l’arciprete don Francesco Perna il quale, a causa del violentissimo spostamento d’aria che mandò in frantumi le vetrate, fu investito da una pioggia di piccolissimi pezzi di vetro. Colpito in pieno volto, l’arciprete, fortunosamente si salvò, ma rimase cieco fino alla fine dei suoi giorni avvenuta qualche anno dopo.
I morti accertati furono una trentina, tre i dispersi, molti i feriti, alcuni resi invalidi permanenti. Si trattava di gente del luogo, abitanti del quartiere e che per caso si trovavano sulla pubblica via. Si verificò e non stranamente, la morte di persone dislocate abbastanza lontano dal posto colpito dalle bombe. È appena il caso di ricordare quella di una donna, domestica dei coniugi Policicchio, maestri elementari.
Mentre percorreva una via sottostante alla zona colpita nel tentativo di guadagnare la propria dimora, la donna che si trovava in mezzo ai due coniugi, ebbe il ventre squarciato da una scheggia e loro ai lati completamente illesi.
La notizia intanto si era diffusa rapidamente nonostante la precarietà nelle comunicazioni e nei servizi di informazione della regione. Ho estrapolato dalle pagine di una rivista, “Cronache della guerra” che si pubblicava in quegli anni, il Bollettino n. 1002 del 21 febbraio 1943, la cui asciutta a asettica prosa così recitava: ” II Quartier Generale delle Forze Armate comunica in data 21 febbraio: … sono state sganciate alcune bombe in Calabria sulle località di Amantea, Gioia Tauro e Cittanova. Alcune vittime fra la popolazione civile …”
Di tal genere furono dunque i nostri primi veri incontri con la guerra, già in qualche modo preparati dalla psicosi dell’oscuramento e da quel clima di incertezza e di improvvisazione che un regime in disfacimento stava piano piano mettendo allo scoperto. Tutto questo ce lo ha restituito con i toni del racconto lineare e senza fronzoli lo scrittore Ciro Cosenza nei suoi Ricordi di un figlio della lupa: “lo cominciai a sentir parlare di bombe e bombardamenti agli inizi del conflitto in un pomeriggio di fine inverno, uno di quei pomeriggi che annunciano dalle nostre parti la primavera … I bombardamenti ben presto s’infittirono … Ad essere presi di mira furono le linee ferroviarie, ecc… I viveri scarseggiavano mentre le comunicazioni diventavano sempre più difficili.”
Per tornare all’episodio del bombardamento di Amantea, dopo alcuni giorni si svolsero solenni funerali. Un lungo corteo di camion militari adibiti a carri funebri si snodò per corso Umberto I° con grande accorrere di folla e di autorità e su tutto un mesto velo di silenzio.
Si è poi discettato anche e a lungo, non solo come mero fatto di curiosità, del pilota americano che sganciò la bomba micidiale, originario di Amantea, nativo addirittura del quartiere.
Non si è mai capito se ciò fosse una semplice balla messa in giro da qualche mitomane locale in funzione, chiaramente anti-americana. Certo la cosa poteva avere un qualche fondamento per il semplice fatto che soldati italo-americani ve ne erano a migliaia nell’esercito USA e amanteani d’origine pure ed altrettanto numerosi.
A distanza di 50 anni e più del tragico evento il luogo dove caddero le bombe di quel lontano giorno di febbraio è rimasto tale e quale. Tranne la strada su cui normalmente si transita, la casa baronale che apparteneva alla famiglia Dei Giudice, già invasa da sterpi ed erbacce che avviluppa le mura dirute è lì a testimoniare la tragedia e la violenza della guerra, la cui eco ancora non spenta si prolunga in quella, a pochi chilometri della nostra Italia, altrettanto stolta ed assurda della Bosnia martoriata.
Quando finirà l’uomo di uccidere il proprio simile? Siamo sempre fermi all’hobbesiano homo homini lupus? La Storia ha ancora qualcosa da insegnarci o è l’amara montaliana “storia, maestra di niente che ci riguardi”? Sono domande alle quali è difficile dare una risposta. Sono convinto però che l’unica cosa che l’uomo non può mai cancellare è la memoria, la memoria di ciò che è accaduto, segnato il destino stesso dell’uomo o di un popolo. “Perché duri la memoria” ha intitolato un suo splendido cortometraggio televisivo il regista calabrese Mario Foglietti, sul campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia. Allora non ci resta altro che praticare, coltivare, professare il culto della memoria in ogni modo e con ogni mezzo anche se essenzialmente esso spetta di diritto agli educatori in una parola alla scuola, che mai come in questo particolare momento storico che stiamo vivendo, di rapidi cambiamenti e di grandi trasformazioni, ha bisogno di rinnovarsi profondamente. Una scuola, beninteso, ridisegnata su nuove basi.
Una bellissima lettera! |
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Di seguito alcune testimonianze di anziani che hanno vissuto quella drammatica giornata:
Come posso dimenticare una tragedia simile avevo sette anni ma tutto cio’ mi rimasto impresso nel sentire che il cielo si e’ oscurato e con tanto sdegno vedere qquei corpicini per terra e vedere una mamma che cerca il figlio tra le macerie ti fa’ ebbrezza tra questi superstiti c’era, mio zio Ferdinando Spirito, una persona gentile e buona con tutti ove ha lasciato per sempre il suo figlio Gennaro e Mariella Spirito orfani di mamma e papa’/ Comunque anche il cielo ha sofferto a vedere questa tragedia e speriamo di non rivedere tali disgrazie
Rocco Veltri