(di Roberto Musì)
Pagine di Storia scritte da “piccoli uomini che, nell’ora estrema del pericolo, acquistano dignità e grandezza d’eroi”
“Lassù nella grande ansa del Don nell’agosto del 1942 le giornate erano afose e lo spazio non aveva confini. Ogni tanto un temporale improvviso dilavava la terra e la fatica mortale degli uomini in guerra… I segni della guerra erano dei grandi crateri aperti nella steppa dalle bombe gigantesche portate sotto la pancia degli aerei tedeschi : sul fondo delle buche stagnava l’acqua dei temporali e si gonfiavano i cadaveri“ (1) .
Ecco una prima fortissima immagine del fronte russo dove si trovano ammassate truppe di varia nazionalità (tedeschi, italiani, ungheresi e romeni) per arginare, come si diceva allora, le “orde barbariche sovietiche”, in nome della civiltà europea occidentale. Gli italiani sono al centro del grande sistema offensivo, lungo un fronte di circa 300 Km., tra i villaggi di Korotojak, a nord del Don, e quello di Cercovo, a sud.
L’ex CSIR, divenuto ormai ARMIR da quasi un mese (9 luglio 1942), è un apparato di circa 230mila uomini, ma con un equipaggiamento scarso e, a volte, inefficiente.
“Gli italiani si sono messi male: la popolazione battezza i bersaglieri uomini-gallina. Portano ancora le fasce mollettiere e quei ridicoli cappotti grigioverdi corti. L’intendenza ordina in Romania mantelli di pelliccia e biancheria pesante, ma arrivano solo il 15 dicembre e soltanto per gli ufficiali e le sentinelle. Gli alpini calzano le solite scarpe coi regolamentari 72 chiodi, mentre il nemico ha i valenki, gli stivali di gomma comodi e caldi “ (2) .
Con queste premesse, si capisce che la guerra di Mussolini e di Hitler contro la Russia non può che trasformarsi in una catastrofe. Gli aspetti di questa guerra inutile e delittuosa, voluta per noi da un Mussolini ormai completamente asservito alla politica folle ed insensata del dittatore tedesco, sono tanti. Il più plateale è l’impressionante carenza tecnico-militare dei nostri comandi, l’assurdità degli ordini, l’insipienza dei generali: “Comandava l’Armir il generale Gariboldi di cui i memorialisti ricordano soprattutto gli scherzi che faceva alla mensa, quando imitando la cattura di un fastidioso insetto, esclamava radioso: – Ho preso Mosca ” (3) ed altre amenità. Certamente l’aspetto più tragico è la condizione di assoluta impreparazione tecnica dei nostri reparti.
“L’ignoranza di tante cose – disse in un famoso convegno a Cuneo il prof. Valdo Zilli – soffocava sul nascere ogni seria preoccupazione per l’immediato futuro. Chi sapeva infatti che il soldato sovietico era armato di un moderno fucile automatico e non di un semplice fucile a ripetizione come quello italiano, progettato nel 1891? Chi sapeva che il nostro cannone anticarro 47/32, l’unico pezzo del genere senza scudo, non riusciva neppure a scalfire la corazza del T34 sovietico? Chi sapeva che una notte all’addiaccio sarebbe stata sufficiente per mettere fuori combattimento interi reparti, perché la lana autarchica delle divise, dei guanti, del passamontagna, i ridicoli scarponcelli della “naja”, le famigerate fasce, erano sicura garanzia di congelamento nonostante il cappotto imbottito d’agnello? E soprattutto chi poteva immaginare che quel fantastico spettacolo di fuochi d’artificio che s’intravedeva a sud, ai limiti dell’orizzonte lontano, fossero i bagliori del cerchio che si chiudeva attorno ai tedeschi di Stalingrado ? “ (4) .
Quando il 10 dicembre del 1942 “quel fantastico spettacolo di fuochi d’artificio” diventa, irrimediabilmente tragica realtà, ed inizia, da parte dell’esercito sovietico, lo sfondamento delle nostre linee sul Don, il doloroso calvario di migliaia di soldati in fuga nell’immensa steppa gelata, con gli scontri e le estreme battaglie per la salvezza ed il sospirato ritorno in patria, si manifesta in tutta la sua sconvolgente pienezza. Una vasta e copiosa letteratura memorialistica ci ha narrato quei tragici eventi con forte senso di partecipazione emotiva e ricchezza di particolari: dal “Sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern fino al recente “Ultimo fronte” di Nuto Revelli. Molti importanti convegni inoltre, hanno riproposto nuove testimonianze e più articolate ricostruzioni di quelle vicende. In qualche caso con la presenza di storici russi. Questo perché servisse da una parte a dare un’ulteriore sistemazione, sempre più documentata, della nostra storia passata e, dall’altra, a tenere ben vivo nella memoria dei posteri, la forte carica emotiva che, di per sé, conserva un fatto del genere come di una tragica odissea moderna.
Le perdite in totale che l’Italia ebbe nella campagna di Russia furono 90mila circa, tra morti e dispersi. Tra questi vorrei ricordare nove soldati amanteani, di cui tre ufficiali di complemento, spazzati via e direi come volatilizzati nelle lande gelate della Russia ucraina: i sottotenenti Gabriele MAZZUCA, Emanuele GALLO, Giuseppe FIORE, i caporali Ernesto CLEMENTE, Giovanni TIMPANO, Giacinto CORTESE, i soldati Alfio LO BALBO, Giuseppe MICELI e Bonaventura OMBRES.
Per essi, infatti, non esiste una data ufficiale di morte; ritenuti appunto dispersi dai comandi militari, sul loro destino di combattenti si è steso un pietoso velo di silenzio. Eppure la questione dei dispersi ha, in questi anni alimentato vane ed illusorie speranze nei superstiti, non fosse altro per le continue ed incessanti richieste di notizie e di informazioni rivolte dapprima ai governi sovietici , che in genere hanno quasi sempre taciuto e poi, dopo la caduta del comunismo, ai loro successori non sempre disponibili e benevoli anch’essi, ad aprire le immense miniere dei loro archivi.
Fonti ufficiali italiane sostengono che i dispersi furono esattamente 63.643 e che i cosiddetti dispersi viventi siano stati tra i 21.341 e i 22.450.
Non è nostra intenzione ragionare né su queste cifre, né su un supposto destino postumo di redivivi. La cronaca giornalistica e finanche il cinema hanno fatto man bassa di molte di queste storie, forse inventate, di soldati italiani, alcuni ben vivi e vegeti, oggi magari ultraottantenni, trasformati in perfetti cittadini russi, scampati miracolosamente alla guerra. Pensiamo a film come “I girasoli” di Vittorio De Sica, dove il termine girasole indica appunto soldati italiani dichiarati dispersi e mai “appassiti” nel ricordo dei congiunti.
Anni fa, mi è accaduto di leggere, cito a memoria, su di un rotocalco italiano una corrispondenza dall’Ucraina con interviste e descrizioni di famiglie italo – russe costituitesi immediatamente dopo la disfatta del ’43. Tuttavia non vogliamo parlare di queste cose perché la materia ci sembra piuttosto incandescente e, alla fine, certo, non si riuscirebbe a cavare, come si dice, il famoso ragno dal buco.
Per chi ne volesse sapere di più e in maniera approfondita bastano ed avanzano i convegni delle associazioni combattentistiche quali quelle, per esempio, dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia. A noi importa sottolineare una cosa ben precisa: il non mai abbastanza sentito dovere di riaffermare, con forza, l’inutilità della guerra, di tutte le guerre in ogni punto o luogo del globo.
Ci preme, soprattutto, evidenziare che l’avere inviato in quelle plaghe remote, intere divisioni, composte per la maggior parte, da giovani, fu un puro atto di follia criminale. Si trattò, nella fattispecie, di giovani costretti a vivere innanzitutto in ambienti e climi ostili, la testa imbottita di stupida propaganda mentre l’animo è rivolto costantemente alla famiglia, agli affetti domestici e alle buone e sane abitudini di paese.
Sono questi i principali sentimenti che trapelano dalle lettere (o lettere-cartoline) di alcuni soldati amanteani dispersi in Russia di cui si diceva più sopra.
Un nostro carissimo amico, Tonino Furgiuele ce le ha donate in fotocopia, in tutto undici, e da lui rinvenute tra le vecchie carte di un suo zio omonimo. Le lettere sono del Sott.te MAZZUCA e del C. le CLEMENTE e CORTESE, amici e sodali di un Antonio Furgiuele, barbiere in Amantea che, in quegli anni tristissimi della guerra apocalittica, teneva corrispondenza con tutti i fronti ove si trovassero compaesani.
Le prime lettere sono del Sott.te MAZZUCA. Attraverso di esse possiamo addirittura seguire l’itinerario che il nostro giovane ufficiale compie da Forlì, sede del suo reggimento, fino al fronte russo. I due amici si scambiano, oltre che i consueti saluti, informazioni di vario genere, come quelle, innocue, di vita militare (il campo a Bertinoro FO e a Vergato BO). Ma su tutto aleggia la nostalgia di casa, della famiglia. Da qui il continuo ribadire i legami d’affetto e d’amicizia di Gabriele verso l’amico Antonio lontano, che lo appaga in piccoli favori.
“Forlì 25.1.1942 : cordialissimi saluti Gabriele. Ti sei rimesso dall’influenza ? Auguri. Grazie del servizio rr.pp. “
“Forlì 13. 3. 1942 : Caro Antonio scusami se non mi ricordo più spesso di te. E’ da qualche tempo che non abbiamo più un minuto di tempo. Ora ho un momento a disposizione e per lo meno ho scritto ad una diecina. Sto benissimo. E tu? Auguroti ottime cose. Il clima qui è cambiato. Si sente già la primavera e con essa anche la nostalgia, che spero presto o tardi sia appagata. Caramente ti saluto abbracciandoti. Gabriele. “
“Bertinoro 25. 4. 1942 : Caro Antonio ti scrivo dal campo dove me la passo benino. I giorni che ho passato (brevissimi) a casa sono stati troppo cari per essere nostalgici. Iddio, che tutto può, possa dare a tutti la gioia di vivere fra i suoi . E tu te la passi bene? Te lo auguro. Cordialmente ti saluto. Gabriele. Salutami anche tutti a A.“
“Vergato 5. 8 . 1942 : Carissimo Antonio, scusami innanzitutto se non ho pensato di scriverti prima: la vita dl nuovo “campo” non sempre fa disimpegnare tutti i propri doveri con la sollecitudine che si vorrebbe. Sto bene di salute. Si indugerà ancora questo mese, poi via! Ti ringrazio ancora di quel favore che mi suoli fare. Come te la passi ? Con la pesca fai progressi i lunedi? Augurandoti ottime cose, ti saluto caramente e ti abbraccio. Aff. nte Gabriele. “
“ Vergato 14. 9. 1942: Caro Antonio scusami se questa volta non sono riuscito a salutarti alla partenza. Sto bene e ho fatto un buon viaggio. Qui starò forse un’altra diecina di giorni. Ti ricordo con affetto e amicizia e ti ringrazio sempre di tutto. Ti saluto caramente e ti abbraccio. Aff.nte Gabriele.“
L’ultima lettera-cartolina di Gabriele, quella del 17 ottobre 1942 contiene telegrafici “salutissimi e pensieri affettuosi dalle pianure polacche”, non senza avere scritto, in carattere minuto, sul retro della cartolina, raffigurante un legionario italiano che si erge vittorioso su di un mucchio di cadaveri, un piccolo messaggio “da Leopoli“, nel tentativo, come si vede riuscito, di sfuggire alla censura militare.
Le altre lettere giungono direttamente dal Don (è scritto a rovescio negli interspazi del testo), sono del caporale Ernesto CLEMENTE e, possiamo dire che sono come permeate da una strana allegria. Con lui vi sono un fratello, Gigetto e Giovanni TIMPANO (uno dei nove dispersi) e non si pensa che a cose frivole, la pesca in mare, un pianino che dovrà essere “mantenuto in piena efficienza” per l’inno della vittoria finale, a cui già abbondantemente si brinda.
“ P.M (Posta Militare) – 202 – lì 25. 9. 1942 XX : Carissimo Antonio, in questo che ti scrivo mi trovo assieme a Gigetto mio fratello e Giovanni Timpano. Peccato che l’ho saputo troppo tardi dove loro si trovavano altrimenti l’avrei potuto vedere molte volte. E tu cosa fai? Facci saper qualche novità. A pescare ci vai di tanto in tanto. “Ti sutti! “Attenzione di non sbagliare rotta. Mantieniti in gamba per quando ritorno io. Poi sì che ci suttiamo… e ciao ! Ti abbraccio molto cordialmente con tanti saluti per gli amici tuo aff. Ernesto. Tanti saluti ed affettuosità. Timpano Giovanni. In questo momento ci beviamo una bella borraccia di vino. Alla salute. Beviamo. Beviamo. “
“P.M. – 202 – zona d’operazione lì 23. 10. 1942 : Carissimo Antonio, mentre sempre più si va verso la meta ti giungano i miei più cordiali saluti unito a tutti gli amici. Ho ricevuto una cartolina di Giovanni nella quale mi dice che Luigi è rientrato alla base con un mese di licenza. Mi figuro Gatano col pianino…! Abbracci Ernesto. 3° Divisione Alpina Julia – 45° Btr. da 20 m/m.“
“P.M. – 102 – lì 25. 10. 1942: Carissimo Antonio, con molto piacere ho ricevuto la tua cartolina e sono contento che tanto tuo fratello come Giovanni e Luigi sono stati in licenza. Tu mi dici che avreste avuto che anche io fosse stato tra voi. Quantunque lontano sono sempre con voi che vi ricordo sempre. Quando tutto sarà finito ci troveremo tutti uniti per “suttarci” e vi raccomando di non rompere il pianino perché anche Giovanni Timpano che in questo momento è con me vuole farsi pure una suonatina. Perciò raccomando ancora a te e più vivamente a Gaetanino che sia mantenuto in piena efficienza. Intanto potrete concertare l’inno della vittoria che sarà senz’altro imminente. Ti abbraccio tuo aff.mo Ernesto . Tanti baci Giovanni. 308 Comando Tappa Speciale – ARMIR “Ricorre in due di queste cartoline il termine, schiettamente amanteano, “suttare, ti sutti ” che, in quanto vocabolo marinaresco, significa, tuffarsi o immergersi in acqua. Ci sembra di ravvisare in quel “suttare” il tragico presentimento della rovinosa disfatta, il tuffarsi appunto, nelle acque gelide del nulla e della morte prossimi. Nelle altre lettere che seguono, è evidente il forte spirito di propaganda che circola tra le truppe in prima linea, la sicurezza baldanzosa dell’armamento e dell’equipaggiamento dei soldati.
“ P. M. – 20 – 10. 11. 1942 , XX : Caro compare. Vengo con la presente per farti sapere che godo ottima salute così spero di voi tutti in famiglia. Mi ha scritto mio fratello facendomi i tuoi saluti, te li contraccambio di cuore e te ne ringrazio tanto tanto. Non so te l’hanno detto dove mi trovo; mi trovo sul Don, dove si sta discretamente. Ormai siamo sicuri che i russi non potranno fare niente. La nostra fortificazione è formidabile. Ogni tanto spariamo per fare tacere il nostro nemico, e così si avvera. Mi ha scritto Giovanni Timpano che è a poca distanza da me, e dice che si trova con Gigetto Clemente ed Ernesto. Ti salutano tutti. Il 6 u.s. è venuta la prima neve. Abbiamo 15 sotto zero, finora lo sopportiamo bene. Se aumentasse siamo provvisti di indumenti di lana. Saluti per i tuoi fratelli e Tetella tu ricevi cari e aff.si saluti tuo aff.so compare Giacinto. Cap.le Cortese Giacinto- 2° Regg. Art. C.A.- 103° Gruppo 3° Batt. – ARMIR “
L’ultimo messaggio per l’amico lontano reca gli auguri di buone feste per i prossimi giorni di Natale.
“P.M. – 20 – 28. 11. 1942 XX : A voi e famiglia giungano i miei più cari e sinceri auguri di Buone Feste. Vostro Giacinto. “
Non sappiamo se per una crudele beffa del destino o per calcolo, proprio in quei giorni in cui tutto il mondo festeggia, solitamente la pace e la fratellanza universale, si scatenerà il tremendo attacco dei russi. Nella notte tra il 10 e l’11 dicembre del 1942, con una operazione denominata “Piccolo Saturno”, l’Armata italiana viene investita, nel centro del suo schieramento, da un inferno di fuoco che i russi ci scaraventano addosso con implacabile freddezza e determinazione.
Dopo aspri e tenaci combattimenti che si protraggono per più di un mese, l’esercito italiano, con tedeschi, ungheresi e romeni, viene letteralmente sbaragliato. E’ l’inizio anche di una precipitosa fuga lungo una sacca di quasi 400 Km. che, dal Don, si estende fino alle pianure polacche (5).
“Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca, i russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano delle lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion ed ero senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare“ (6) . Sono parole dello scrittore Mario Rigoni Stern, l’autore dell’immortale “Sergente nella neve” e, perciò stesso, protagonista del dramma della più disperata catabasi del nostro tempo (7) .
Mi è sembrato giusto, per concludere, pubblicare queste lettere perché esprimono non solo un forte sentimento della solidarietà e dell’amicizia, ma anche il senso di una grande testimonianza umana.
Le hanno scritte dei soldati inghiottiti dalla furia e dalla violenza della guerra, come ve ne sono stati tanti sulla terra, cioè piccoli uomini che, catapultati nell’immane “theatrum belli”, reagiscono appunto, da piccoli uomini e che, nell’ora estrema del pericolo, acquistano dignità e grandezza d’eroi.
NOTE:
1- Mario RIGONI STERN, Il Don, la mia lunga marcia, in: “La Stampa” (TO) mercoledi 25 agosto 1982, anno 116, n. 179.
2- Enzo BIAGI, Nel gelo della steppa i morti segnarono la nostra ritirata, in: “La Repubblica” (ROMA) domenica 7 / lunedi 8 agosto 1983
3- Enzo BIAGI, Nel gelo della steppa i morti segnarono la nostra ritirata, in: “La Repubblica” (ROMA) domenica 7 / lunedi 8 agosto 1983
4- Valdo ZILLI, Gli italiani prigionieri di guerra in URSS: vicende, esperienze, testimonianze, in: “Gli italiani sul fronte russo”, a cura dell‘Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e Provincia, BA, 1982, p. 298.
5- Ministero della Guerra- Stato Maggiore Esercito-Ufficio Storico, L’8° Armata Italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 – 31 gennaio 1943), ROMA, 1946, passim.
6- Mario RIGONI STERN, Il sergente nella neve, TO, 1965, (12° ed.), p. 173.
7- Si veda il recentissimo spettacolo teatrale del giovane regista Marco Paolini che dal testo di Mario Rigoni Stern “Il sergente nella neve” ne ha tratto una splendida pièce. (F. Ravelli, Il Sergente di Paolini alla guerra dei disperati, in: La Repubblica, martedì 09.11.’04).