Viaggio nella memoria…
Bagni di mare agli inizi del XX° secolo
La spiaggia adibita ai bagni di mare, nella seconda metà degli anni ’20, era costituita da un piccolo tratto davanti al ponte della ferrovia, in fondo a Via Regina Margherita, e da un altro piccolo tratto a nord della stazione ferroviaria, quest’ultimo frequentato solo da persone che abitavano nella parte alta del paese. (…)
Allora le case di via Margherita si arrestavano all’incrocio con via Dogana.
La strada, sterrata e polverosa, costeggiata da profonde cunette e da fichi d’india, proseguiva, per un tratto, attraverso la campagna. Non esisteva alcuna zona d’ombra, tranne verso la fine, quel poco che poteva dare una piccola costruzione, in sostanza un magazzino dove i marinai conservavano i loro attrezzi.
Il fastidio di un simile percorso era evitato, a chi se lo poteva permettere, dalla carrozzella del “mucciaccio”, così chiamato perché, ritornato dall’America Latina ove era emigrato, chiamava, ovviamente anche con grida, i numerosi figli con il termine spagnolo “muchacho” (pronuncia mucciacio).
La carrozzella, tirata da un cavallo bianco, all’ora concordata, andava a prelevare i clienti a casa e li lasciava al termine di via Margherita, sotto il ponte della ferrovia ove poi, ad altra ora concordata, andava ad aspettarli per ricondurli a casa.
Ricordo ancora quei tragitti in carrozzella con mia madre e le mie due sorelle, tutte armate di ombrellini, mentre io vanamente chiedevo di sedere a cassetta accanto al cocchiere. (…)
Sulla spiaggia trovavamo, già armati, dei capanni, denominati pagliai, costituiti da una vecchia coperta retta da quattro canne, che alcune donne si incaricavano di approntare per tutta la stagione estiva ricavandone un modesto compenso.
Erano le stesse donne (tre o quattro) che si improvvisavano “bagnine” e tenevano per mano le clienti mentre si abbassavano nell’acqua, rimanendo sempre rigorosamente vicine alla riva, dove c’era piede. Infatti nessuna sapeva nuotare, nemmeno le “bagnine”. (…)
Oggi le bagnanti indossano sgambati costumi da bagno e qualcuna, più audace, si spinge anche al topless. Invece in quei tempi erano quasi vestite, per altro perché alla donna la moda severamente vietava l’abbronzatura.
Ricordo ancora il costume di mia madre di stoffa nera con volants bianchi: una casacca lunga fino alle ginocchia e pantaloni stretti alla caviglia, con l’aggiunta di scarpette bianche di tela con i lacci annodati alle caviglie.(…)
Tuttavia la circostanza più interessante, alla quale i giovani d’oggi stenteranno a credere, era la separazione tra la spiaggia riservata alle donne e quella riservata agli uomini, imposta da un’ordinanza del Podestà la cui osservanza era assicurata dalla continua presenza, sulla striscia di divisione, da una guardia comunale.
Di solito tale incombenza era affidata, ai miei tempi, ad Alfonso Perna, che a me bambino incuteva un certo timore per la divisa e per la corporatura che mi sembrava imponente.(…)
I giovanotti di Amantea erano, invece, fortemente tentati di violare consapevolmente la prescrizione e lo facevano, appunto, a nuoto, anche a rischio di incorrere in una contravvenzione. (…)
Pasquale Vincenzo Molinari
(riduzione dell’articolo pubblicato dal periodico “Iniziativa” nel marzo 1978)