Quell’aria Santa

Gironi di Cannavina
Album  dei ricordi… QUELL’ARIA SANTA

In quel tempo il mezzo più comune usato per le comunicazioni tra il mio paese, Amantea, e Cosenza, era l’autocorriera postale dell’impresa Santelli, allora una delle più importanti della  provincia e con varie attività.
Il “postale”, come da tutti  chiamato sinteticamente, arrancava su una strada provinciale polverosa (l’asfalto era privilegio di poche strade nazionali) e stretta, che si "U postale" arrampicava fino a Potame e poi scendeva, a seconda della direzione di marcia, verso il mare o verso Cosenza.
Delizia della salita erano numerose curve a gomito, almeno una ventina, che mettevano a dura  prova sia l’abilità dell’autista e sia lo stomaco dei  passeggeri.
Si raccontava che le altre poche autovetture private che affrontavano la stesa strada preferissero scegliere gli orari in modo tale da evitare il difficile incrocio con il postale.(…)

Il postale, pur fermandosi a tutti i paesi intermedi anche per consegnare e prelevare i sacchi postali, compiva il percorso in poco più di due ore, sicchè partiva da Amantea alle sei del mattino per essere in tempo a Cosenza per l’apertura degli uffici e ripartiva da Cosenza alle ore 14.
Oltre all’autista c’era il bigliettaio che si occupava anche del servizio postale.
Il primo, l’amanteano Salvatore (Colombo n.d.r.) aveva una dote particolare: non appena si fermava davanti agli uffici postali nei vari paesi piegava la testa sul volante e si metteva a dormire.
Il secondo, il cosentino don Silvio, era un uomo austero di una certa età, che si appoggiava ad un bastone con il pomo d’argento e che in segno di rispetto veniva gratificato con lo spagnolesco “don”.
Fin dall’anno scolastico 1931/32 venni mandato al convitto nazionale”B. Telesio” di Cosenza. (…)

Anche io, per le vacanze, tornavo a casa servendomi, come la maggior parte degli studenti della zona, del postale. Poiché ero appena decenne e non mi era consentito di uscire da solo, proprio lo stesso autista Salvatore veniva, dietro autorizzazione di mio padre, a prelevarmi al convitto e mi conduceva con lui alla grande autorimessa della Santelli al rione Castagna.
Gironi di CannavinaSpesso, in particolare nei mesi invernali, il tempo non era buono e sul percorso di montagna incombeva anche la nebbia. Tuttavia, quando si giungeva verso la fine del piccolo altopiano di Potame, nel punto in cui la strada dominava tutta la zona sottostante, il cielo si schiariva sempre ed acquistava una nuova luce, sicché di lontano si vedeva “il tremolar della marina”. (…)
Alla schiarita del cielo, il serio don Silvio aveva un momento di affettuosa e scherzosa attenzione per i giovani passeggeri e, battuto il bastone per terra per attirare la nostra attenzione, esclamava: “Aria santa del paese mio”. E, veramente, a me e agli altri studenti pareva che quella nuova luce avesse un effetto benefico, ci ripagasse delle fatiche degli studi, ci riportasse nelle nostre amate case, ci rendesse nuovamente alle dolcezze degli affetti familiari. Risentivamo gli odori ed i sapori di casa: ancora oggi rimpiango il sapore straordinario delle patate arrostite nella cenere del braciere. (…)

L’espressione che ebbe quell’origine entrò nel lessico familiare molto più tardi, circa trenta anni dopo, quando anch’io, pur essendo per vocazione un “eroe della poltrona”, mi motorizzai conseguendo la patente di guida ed acquistando una fiat 750, con la quale mi recavo più spesso da Cosenza ad Amantea conducendo con me la famiglia.
Fin dal primo viaggio, una volta giunto a Potame, raccontai ai miei figli il mio ricordo d’infanzia e poi, tutte le volte che ci appariva il mare, ripetevo anch’io:  “Aria santa del paese mio”.
Diventò talmente un’abitudine che, se talvolta dimenticavo di ripeterla, erano i miei figli a ricordarmela.
Ora da ventisette anni abito a Roma e non frequento più la vecchia strada provinciale. (…) Tuttavia ogni estate ritorno ad Amantea e ritrovo “l’aria santa del mio paese”, la mia vecchia, grande, casa dove esiste ancora l’antico braciere che, tirato a lucido e senza traccia di cenere, è diventato un porta vasi da fiore (…) e l’”aria santa del mio paese” agisce come un tonico, un balsamo soprattutto dell’animo, un elisir di lunga vita. (…)

Pasquale Vincenzo Molinari

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