Il primo autista di linea e primo meccanico di Amantea
Agli inizi del 900, Cosenza, da Amantea, si raggiungeva percorrendo la statale 278 che, con un percorso tortuoso e accidentato, attraverso il passo di Potame, permetteva gli spostamenti e gli scambi commerciali.
Partendo da Piazza commercio, la strada si inerpicava per i tornanti di Cannavina, attraversava S. Pietro e Terrati, sfiorava Lago passando dal Bivio di Margi e poi, dopo aver scollinato fra le nebbie quasi perenni del valico, superava Domanico e Carolei entrando a Cosenza attraverso Piazza della Riforma.
A percorrere la carreggiata, angusta e sterrata, erano soprattutto carri e carrette che, per coprire il tragitto, impiegavano diverse ore.
Andare al Capoluogo (almeno fino all’agosto 1915 quando fu aperta la linea ferroviaria Paola-Cosenza) era quasi un’avventura per chi doveva andare nella città per acquisti o per il disbrigo di pratiche presso gli Uffici Provinciali, un’avventura che aveva qualcosa di epico nei racconti dei viaggiatori che, all’attento e curioso auditorio, narravano di peripezie indescrivibili, di strani incontri e, qualche volta, anche di fantasmi.
Poi arrivò il tempo in cui ai “traini” e alle “carrozze” subentrarono i primi veicoli a motore: camioncini e “corriere”.
Il servizio di linea tra Amantea e Cosenza fu realizzato negli anni ’20 e il primo autista, chiamato all’impresa di guidare il “postale” (1) , fu Nicola Caruso (Nicola ‘u sciafferru), mio nonno.
Egli, che era in possesso di una delle primissime patenti di guida e che fino allora aveva fatto il fabbro ferraio, si trovò al volante di un rumorosissimo trabiccolo, con la trasmissione a catena e le ruote gommate piene, molto dure e rigide, ma che avevano il vantaggio di non potersi forare.
Finalmente arrivò il fatidico giorno dell’inaugurazione del nuovo e moderno servizio!
In Piazza Commercio, sin dalle prime luci dell’alba, si erano radunati i pochi passeggeri, che per l’occasione avevano indossato gli abiti buoni della domenica, orgogliosi, emozionati ed impettiti, in bella mostra davanti al mezzo sul quale stavano per intraprendere il viaggio, circondati da uno stuolo di curiosi che non poteva e non voleva perdere lo storico evento.
C’era anche l’autista (in tuta da lavoro) che, dopo aver fatto gli ultimi controlli ed invitato i passeggeri a salire, dopo alcuni tentativi infruttuosi, riuscì a mettere in moto il motore con la manovella, poi salito al posto di guida, fece muovere il pesante mezzo che, con un rumore assordante, abbandonò la piazza lasciando dietro a se una scia di polvere come a voler cancellare il passato…
Per i passeggeri, si apriva una nuova serie di avventure di viaggio tra paesaggi che scorrevano alla folle velocità di quasi 20 kmh, fra cigolii e sobbalzi sulla carreggiata dissestata, intervallati dalle soste per far riposare o riparare il motore nel tentativo di raggiungere la meta.
Magari proprio durante i viaggi, nelle soste forzate a causa di un guasto meccanico, sul ciglio delle strade, si facevano degli improvvisati pic-nic che favorivano nascita di nuove amicizie e, magari,14 amori immaginari…
Altre volte, invece, la fatica del viaggio era molta perchè toccava scendere a spingere con le braccia, oppure fare le salite a piedi per permettere alla corriera carica di bagagli di ogni genere di arrivare fino alla cima..
E, come ai tempi della trazione animale, al ritorno, c’era sempre una piccola storia da raccontare, la descrizione di nuove espe- rienze e di nuove conoscenze.
Dopo qualche tempo, con la pratica acquisita nel riparare continuamente il motore del “postale”, mio nonno cedette il volante al suo successore, Salvatore Colombo, ed aprì, in via Elisabetta Noto, la prima officina meccanica per la riparazione delle pochissime autovetture della città e del suo circondario.
Sotto la sua burbera guida, molti giovani volenterosi impararono a conoscere i “misteri” del motore e, a loro volta, essendo aumentato il numero delle autovetture, aprirono le loro officine o svolsero la loro attività di meccanici all’estero.